Peter A. Kwasniewski. Perché il latino è la lingua appropriata per il culto cattolico romano

L’errore che ha portato all’abolizione del latino è stato di natura neoscolastica e cartesiana — vale a dire, il concetto secondo cui il contenuto della Fede cattolica non abbia corpo e non sia incarnato, bensì sia qualcosa di astratto dalla materia. Così, molti cattolici credono che la Tradizione consista solo in un certo numero di contenuti concettuali che sono tramandati, indipendentemente dal modo in cui li si tramanda. Ma ciò è falso. Lo stesso latino è uno degli elementi tramandati, insieme ai contenuti di tutto ciò che è scritto o cantato in latino. Inoltre, come abbiamo visto, la Chiesa stessa ha riconosciuto questo punto in molte occasioni, mettendo in risalto l’importanza del latino col tesserne le lodi, riconoscendo in esso un segno efficace dell’unità, della cattolicità, dell’antichità e della permanenza della Chiesa latina.
Il latino possiede pertanto una funzione quasi sacramentale: così come il canto gregoriano è “l’icona musicale del cattolicesimo romano” (Joseph Swain), il latino è la sua “icona linguistica”.

Leggi qui l’intero testo della conferenza tenuta da Peter A. Kwasniewski a Cleveland, Ohio, il 4 giugno 2022 (testo originale in inglese qui)

Stranieri anche in Chiesa

«Ma come!» voi ci fate dire, esclamare (senza certo riflettere a Chi parlate, Chi compatite, con noi): «lasciar da parte il latino, la lingua della Chiesa, la lingua tradizionale della Chiesa, la lingua nella quale si sono espressi i padri, la lingua per cui la Chiesa cattolica si sente una in tutto quanto il mondo, lasciar da parte il latino per queste lingue volgari?» E riconosciamo che, se non tutte, avete riassunto bene una buona parte delle nostre «giustificazioni», spingendo la vostra generosità fino a dire: «non le disprezziamo», e grazie, Eminenza! Item per la musica: «accantonare, archiviare», voi seguitate a scandalizzarvi, rettoricamente, in nostra vece, «tutto un patrimonio di canto gregoriano, di polifonia classica, di polifonia e di musica sacra posteriore, accumulato nei secoli, che è tutto composto su testi latini, ed esige testi latini?» Item per l’architettura, ammettendo che se «le nostre chiese, le nostre grandi chiese, tutte le nostre chiese», con buona pace di Nicola Pisano, di Arnolfo, di Bramante, del Sangallo, di Michelangelo, del Bernini e compagnia simile, non son fatte bene, «non sono fatte nel modo più funzionale» e vanno perciò rifatte o corrette («con somma prudenza», beninteso) in «senso comunitario» ossia senza «diaframmi di colonne, pilastri, navate» eccetera tra l’«assemblea» e l’unico altare nel mezzo (in una parola, sottintesa, alla protestante), rappresentano tuttavia un «patrimonio artistico» anch’esso non disprezzabile; però… «Però» (è la vostra risposta a tutto, e fa pena) «di fronte a queste, che sono pure valide cose, sta una cosa più grande: la formazione spirituale del popolo cristiano: comunicare a questo popolo la parola di Dio in maniera che la intenda e se ne nutra: accostarlo all’altare così che egli consapevolmente partecipi all’assemblea della famiglia di Dio».
Più che a una famiglia la parola «assemblea» fa pensare a un «club», a una cooperativa, a un circolo, o mettiam pure a un condominio; ma non è questo, oh no! che fa pena: ciò che fa pena – ve lo ripeto: il sangue, infatti, ribolle nelle mie vene di cattolico perdutamente innamorato della sua Chiesa – è l’ingiuria che voi lanciate (senza riflettere, sicuramente: era il carnevale, erano i giorni dei coriandoli) contro la Chiesa. Se la logica vale ancora, se non è stata riformata, anche lei, al vostro distretto, da queste come da quell’altre vostre parole è giocoforza sillogizzare che la Chiesa, fin qui, fino a voi, l’esecutore della Riforma, il Grande Slatinizzatore del Culto, la Chiesa, con tutti i suoi papi, i suoi santi, i suoi dottori, i suoi liturgisti (da papa Damaso a Schuster), non aveva, ridiciamolo, capito un’acca e conformemente non aveva fatto nulla per «la formazione spirituale del popolo cristiano»; con l’aggravante di aver mantenuto e difeso ed esaltato il suo latino quando a conoscerlo, grammaticalmente, erano pochissimi, erano propriamente i «signori», mentre oggi un po’ lo san tutti e quello di chiesa è così facile, specie per gl’italiani; né vi era il sussidio dei «messalini»: quei piccoli messali bilingui (latino-italiano, latino-francese, latino-tedesco, latino-inglese e così via, a fianco o interlineati) che a voi, è vero, non vanno (fatta eccezione, m’immagino, per quello del padre Bugnini…) rappresentando anch’essi un «diaframma tra l’altare e la nave, tra il sacerdote che presiede l’assemblea e l’assemblea stessa», e rappresentavano precisamente, nel più largo senso, il contrario sia perché davan modo ai cattolici di girare il mondo, di entrare in qualunque chiesa, «della lontanissima Santiago del Cile o della Nuova Zelanda», senza sentirsi mai stranieri, sempre sentendosi a casa propria, tra fratelli (lascio a voi la vostra «assemblea») nella chiesa della propria parrocchia; sia e soprattutto perché coi «messalini» accadeva questo, Eminenza: accadeva che, appreso più o meno in breve il significato dei testi (che si ripetono quotidianamente o annualmente), i fedeli seguivano ormai in latino, insieme al celebrante (vi lascio il «presidente»), la Messa, vinti da quell’attrattiva propria del belle che poco fa si diceva e ch’è d’ogni persona normale. «La lingua per cui la Chiesa cattolica si sente una in tutto quanto il mondo…» Proprio così, Eminenza, e vi assicuro che non è una cosa da poco: se non fosse una troppo brutta parola del vostro brutto lessico di riformati vi direi che quello era il vero «comunitarismo».
Ho visto co’ miei occhi il contrario l’estate scorsa stando al mare in una città della vostra Emilia frequentata da stranieri proprio di tutto quanto il mondo, tra cui molti cattolici, e quanto mi commoveva gli altri anni il sentirli, in chiesa, alla Messa domenicale, pregar con noi, «unanimes uno ore» in tanta diversità d’accenti, cantar con noi: «Et unam, sanctam, catholicam et apostolicam Ecclesiam», tanto mi ha rattristato, quest’anno, il vederli, accanto e lontani, guardarci muti, smarriti, stranieri – in una parola – anche lì pur se a contatto con noi di gomito, quelli che non eran rimasti fuori. La Messa, infatti, quest’anno, non era «nella lingua di tutti»: era in italiano, e questo era davvero il «diaframma», più isolante delle colonne, dei pilastri, delle navate… Parlavo con un ex-ufficiale inglese già prigioniero in Germania e mi diceva che il filo spinato e il muro di cinta e le sentinelle non gl’impedivano, la domenica, di sentirsi libero, fra i suoi, sentendo il cappellano tedesco segnarsi, in latino, e dire Introibo ad altare Dei… come il suo parroco di Londra. Ho anche presenti, e non le scorderò mai, le lacrime di un’anziana signora che dal protestantesimo s’era convertita al cattolicismo proprio o soprattutto per questa sua «splendida unità», e ora …!
«Ut unum sint», e si è cominciato col distruggere l’«unum sunt».

Tito Casini, La tunica stracciata (1967)

Croazia, emergenza finita. Torna la Comunione sulla lingua

Dal sito de La Nuova Bussola Quotidiana:

“Da sabato 9 aprile in Croazia la vita è tornata a essere (quasi) normale. A motivo della scarsa incidenza della variante Omicron sulla salute pubblica, il Comando nazionale di protezione civile ha revocato quasi tutte le misure restrittive.
Sono state abolite tutte le misure restrittive in vigore anche in ambito ecclesiale. È stato quindi abolito l’obbligo di ricevere la Comunione solamente sulla mano e di igienizzare le mani all’ingresso in chiesa, è stato reintrodotto il segno della pace ed è nuovamente permesso porre l’acqua benedetta nelle acquasantiere delle chiese. Allo stesso modo, i sacerdoti non dovranno più igienizzare le mani o indossare la mascherina al momento di distribuire la Comunione ai fedeli”.

Qui il comunicato ufficiale della Conferenza Episcopale Croata.

Don Divo Barsotti e la lingua latina nella Messa

Non vuol dire proprio nulla la lingua nazionale nella liturgia. Il problema non è di capire sul piano intellettuale, ma di compiere un incontro reale con Cristo. E non vedo nella liturgia di oggi qualcosa che promuova un incontro con Lui.

(Don Divo Barsotti, I cristiani vogliano essere cristiani, a cura di P. Canal, Cinisello Balsamo (Milano) 2006, pp.269-270).

La CEI consente la Comunione sulla lingua dal 1° aprile 2022

Dal comunicato sulla fine dello stato di emergenza COVID-19 sul sito della Conferenza Episcopale Italiana:

[Dal 1° aprile 2022] i Ministri continueranno a indossare la mascherina e a igienizzare le mani prima di distribuire l’Eucaristia preferibilmente nella mano.

“Preferibilmente” non significa “obbligatoriamente”…

Antifone di Quaresima

Mons. Andrea Caniato prosegue la pubblicazione del repertorio gregoriano delle antifone della Liturgia delle Ore, secondo l’Ordo Cantus Offici (II edizione).

Potete scaricare qui:
l’Antifonario di Quaresima feriale
l’Antifonario di Quaresima festivo
l’Antifonario della Settimana Santa
l’Antifonario di Marzo

Ringraziamo ancora mons. Caniato.

Mons. Stefan Heid: “Ecco come celebravano i primi cristiani”

Dall’intervista di Luisella Scrosati a mons. Stefan Heid, Rettore del Pontificio Istituto di Archeologia Cristiana (pubblicata sul Timone n. 213, gennaio 2022, in edicola a Roma e Milano, in spedizione ovunque cartaceo o digitale www.iltimone.org):

A partire dal Concilio si è diffuso l’enorme malinteso che, nella chiesa primitiva, il sacerdote guardasse il popolo. Salvo pochissime eccezioni, non è stato così. Nei primi secoli, l’altare era solitamente posizionato libero ai quattro lati, ma il sacerdote stava davanti all‘altare con il volto rivolto verso oriente. L’Eucaristia ha anche elementi dialogici, ma questi costituiscono solo l’introduzione alla preghiera. La preghiera deve essere sempre rivolta ad est. Ci sono alcune chiese – anche a Roma – con la facciata rivolta ad est, e in questi casi il sacerdote deve stare dietro l’altare e guardare verso il popolo. Ma il punto non è che la comunità debba ammirare la bellezza del sacerdote, ma che il sacerdote debba pregare verso est, verso Cristo, Sole di giustizia. Il modello moderno di liturgia, nello stile di un evento di intrattenimento religioso, ha poco a che fare con la serietà delle prime chiese.

Molta ideologia è oggi ancora in atto, purtroppo. Ognuno sceglie ciò che gli piace dalla Chiesa primitiva. C’è un ampio spazio per la manipolazione, specialmente quando si tratta della nostra odierna comprensione della liturgia, dell’Eucaristia e della Chiesa. Molto di ciò che oggi viene giustificato con la Chiesa primitiva è solo una proiezione moderna. Un piccolo chiarimento storico in più sarebbe molto utile a riguardo.

Ampi stralci dell’intervista qui.

How the First Christians Celebrated the Mass
Luisella Scrosati, interview with mons. Stefan Heid, Rector of the Pontificio Istituto di Archeologia Cristiana (Pontifical Institute of Christian Archeology).
Il Timone, January 2022

Beginning with the Council, the enormous misconception has spread that, in the primitive church, the priest looked at the people. With very few exceptions, this was not the case. In the early centuries, the altar was usually placed free on all four sides, but the priest stood in front of the altar with his face to the east. The Eucharist also has dialogical elements, but these are only in the manner of an introduction to the [Eucharistic] prayer. The prayer itself must always be facing east. There are some churches—even in Rome—with the façade facing east, and in these cases the priest must stand behind the altar and look toward the people. But the point is not that the community should admire the handsomeness of the priest, but rather that the priest should pray towards the east, towards Christ, the “Sun of justice.” The modern model of liturgy, in the style of a religious entertainment event, has little to do with the seriousness of the early churches.
Much ideology is still in place today, unfortunately. Everyone chooses what they like from the early Church. There is plenty of room for manipulation, especially when it comes to our understanding today of the liturgy, the Eucharist, and the Church. Much of what is justified today by appeal to the early Church is just a modern projection. A little more historical clarification would be very helpful in this regard.

More here.

Un parroco risponde al suo vescovo che vieta la celebrazione ad orientem

Don Anthony Bus C.R., parroco della chiesa di St. Stanislaus Kostka a Chicago, ha ricevuto dal proprio arcivescovo la proibizione di continuare a celebrare la s. Messa (novus ordo) ad orientem (qui la storia).
Questa è la sua risposta, pubblicata sul sito web della parrocchia:

Father Anthony Bus C.R., pastor of the church of St. Stanislaus Kostka in Chicago, has received from his archbishop the prohibition to continue celebrating the (novus ordo) holy Mass ad orientem (story here).
This is his response, posted on the parish website:

Fr Anthony’s Letter on “Ad Orientem

The Holy Mass is the renewal of our fiat – a renewal of our covenant with the Lord and His Mystical Body. Therefore our primary participation in the Holy Mass and the renewal of our sacred covenant to the Lord is that we offer ourselves “a living sacrifice holy and pleasing to God our spiritual worship,” quoting St. Paul. We do this in union with the sacrifice of Jesus, for Jesus, through Jesus, and in Jesus – to the glory of the Father. The Sacred Mysteries offered, “Ad Orientem” facilitates this so beautifully in preparation for Holy Communion, and always in anticipation of the Lord’s coming at the end of all things.

La Santa Messa è il rinnovamento del nostro fiat, un rinnovamento della nostra alleanza con il Signore e con il Suo Corpo mistico. Perciò la nostra prima partecipazione alla Santa Messa e al rinnovamento della nostra sacra alleanza con il Signore è quella di offrire noi stessi «come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio (…) il nostro culto spirituale», per citare san Paolo. Lo facciamo in unione con il sacrificio di Gesù, per Gesù, per mezzo di Gesù, e in Gesù, a gloria del Padre. Offerti i Sacri Misteri, “Ad Orientem” facilita splendidamente tutto questo in preparazione alla Santa Comunione, e sempre in attesa della venuta del Signore alla fine di tutte le cose.

20+C+M+B+22

La benedizione delle case, sulle cui porte vengono segnate la croce del Signore, la cifra dell’anno appena iniziato, le lettere iniziali dei tradizionali nomi dei santi Magi (C+M+B), spiegate anche come abbreviazione di “Christus mansionem benedicat”, scritte con gesso benedetto.

The blessing of homes, on whose lentils are inscribed the Cross of salvation, together with the indication of the year and the initials of the three wise men (C+M+B), which can also be interpreted to mean Christus mansionem benedicat, written in blessed chalk.

La bénédiction des maisons, sur les portes desquelles les fidèles ont placé la croix du Seigneur, le chiffre de l’année qui commence et les initiales des noms traditionnels des saints Mages (C+M+B), qui sont aussi celles de l’expression: “Christus mansionem benedicat“, écrites avec de la craie bénite.

La bendición de las casas, sobre cuyas puertas se traza la cruz del Señor, el número del año comenzado, las letras iniciales de los nombres tradicionales de los santos Magos (C+M+B) [en algunas lenguas], explicadas también como siglas de “Christus mansionem benedicat“, escritas con una tiza bendecida.

Die Segnung der Häuser, deren Türen mit dem Kreuz des Herrn bezeichnet werden: die Ziffer des neuen Jahres, die Anfangsbuchstaben der überlieferten Namen der heiligen Sterndeuter (C+M+B), die auch als Abkürzung von „Christus mansionem benedicat“ (Christus segne dieses Haus) zu erklären sind. Sie werden mit gesegneter Kreide geschrieben.