Intervista a don Federico Bortoli

Un sacerdote, don Federico Bortoli, compie lo studio più approfondito su come si è arrivati a concedere la distribuzione della comunione in mano che Paolo VI e la maggioranza dei vescovi bocciò. Anzitutto con un indulto che doveva essere rivolto solo a quelle diocesi dove si commettevano abusi. Ma poi la “moda” è dilagata. Resta il fatto che la ricezione della comunione in ginocchio e in bocca sia legge universale della Chiesa, la forma consuetudinaria attuale sia solo frutto di una concessione.

Intervista completa di Luisella Scrosati a don Federico Bortoli qui.

Dominica IV Adventus – 23 Dec 2018

Ant. ad introitum Is 45, 8
Roráte, cæli, désuper, et nubes pluant iustum;
aperiátur terra et gérminet Salvatórem.

Non dicitur Glória in excélsis.

Collecta
Grátiam tuam, quǽsumus, Dómine,
méntibus nostris infúnde, ut qui, Angelo nuntiánte,
Christi Fílii tui incarnatiónem cognóvimus,
per passiónem eius et crucem
ad resurrectiónis glóriam perducámur.
Per Dóminum.

Dicitur Credo.

Super oblata
Altári tuo, Dómine, superpósita múnera
Spíritus ille sanctíficet,
qui beátæ Maríæ víscera sua virtúte replévit.
Per Christum.

Præfatio II de Adventu.

Ant. ad communionem Is 7, 14
Ecce Virgo concípiet, et páriet fílium;
et vocábitur nomen eius Emmánuel.

Post communionem
Sumpto pígnore redemptiónis ætérnæ,
quǽsumus, omnípotens Deus,
ut quanto magis dies salutíferæ festivitátis accédit,
tanto devótius proficiámus
ad Fílii tui digne nativitátis mystérium celebrándum.
Qui vivit et regnat in sǽcula sæculórum.

Adhiberi potest formula benedictionis sollemnis.

© Copyright – Libreria Editrice Vaticana

Messalino in PDF con letture in lingua italiana (da stampare su fogli A3 fronte/retro)

Missalette in PDF with readings in English (to be printed on A3 sheets, front/back)

Dove si trovano i canti gregoriani da utilizzare per la liturgia?

Vi segnaliamo qui in particolare tre raccolte, con caratteristiche e scopi diversi fra loro.

La prima è il Graduale Romanum. Edito nel 1974 per volere di Papa Paolo VI, è il frutto del lavoro di un’apposita commissione vaticana che aveva il compito di applicare le indicazioni sulla musica liturgica formulate dal Concilio Vaticano II e, nel contempo, utilizzare il fondamentale lavoro sul canto gregoriano sviluppato dai monaci dell’abbazia di Solesmes.

Il secondo libro è il Graduale Simplex, pubblicato nel 1967 come conseguenza della raccomandazione contenuta nella costituzione conciliare Sacrosanctum Concilium: “Conviene che si prepari un’edizione che contenga melodie più semplici, ad uso delle chiese minori”.

Infine il Liber usualis, oggi reperibile nell’ultima versione aggiornata del 1962, che ha il vantaggio, rispetto alle prime due raccolte, di contenere non solo le melodie per la Messa ma anche quelle per l’Ufficio delle ore.

(Testo tratto dal documento I libri del canto gregoriano)

GregoBase – A database of gregorian scores

La Tradizione è moderna – intervista a mons. Valentino Miserachs Grau

Alcuni ci dicono di non riuscire più a seguire con attenzione e devozione la messa, distratti da tanta incuria per quanto riguarda i canti e la musica durante il sacrificio eucaristico. E anch’io quando vado a dir messa in parrocchia da qualche mio amico parroco, rimango attonito.
Non bisogna farsi troppe illusioni di risalire in poco tempo dal baratro in cui siamo caduti. Bisogna ricominciare poco a poco. Fare dei piccoli passi. È un po’ come insegnare a parlare e a camminare a un bambino. O, meglio ancora, è come andare al catechismo, a imparare i fondamentali della nostra fede.

Basterebbe che ogni parroco si procurasse il Liber cantualis dei padri benedettini di Solesmes che raccoglie i canti più semplici ed essenziali del gregoriano come il Credo, il Gloria, il Pater noster. O il libretto voluto da Paolo VI nel 1974 Iubilate Deo. C’è pure il repertorio pubblicato dal nostro Istituto: Celebriamo cantando i misteri della salvezza, un’antologia da noi preparata di canti gregoriani e in lingua italiana per tutte le circostanze dell’anno liturgico. Lo ristampiamo continuamente. Oltretutto, spesso inviamo i nostri insegnanti a dare una mano ai parroci.
Un’altra cosa facile da fare sarebbe far sì che nelle cattedrali, nelle chiese maggiori, nei seminari, nelle congregazioni religiose si celebrasse almeno una messa settimanale cantando il gregoriano nell’ordinario della messa. O, se risultasse troppo faticoso, almeno una volta al mese.

Leggi l’intervista completa sul sito di 30Giorni.

CD “Cantus Traditionis” – free download

IL CD “I CANTI DELLA TRADIZIONE”
I canti gregoriani più semplici che i fedeli sono invitati a imparare e cantare secondo l’intenzione della costituzione del Concilio Vaticano II sulla Sacra Liturgia.
È possibile scaricare gratuitamente sia il CD che il libretto nell’area download del sito 30 Giorni.

THE CHANTS OF TRADITION
The most simple Gregorian chants that the faithful are invited to learn to sing according to the intention of Vatican Council II’s Constitution on the Sacred Liturgy.
CD and Pdf downloads

LES CHANTS DE LA TRADITION
Les chants grégoriens les plus simples que les fidèles sont invités à apprendre et à chanter conformément aux intentions de la Constitution du Concile Vatican II sur la sainte liturgie.
CD et Pdf Téléchargement

LOS CANTOS DE LA TRADICIÓN
Los cantos gregorianos más sencillos para que los fieles los aprendan y canten, según aconseja la Constitución del Concilio Vaticano II sobre la Sagrada Liturgia.
CD y Pdf área download

DIE GESÄNGE DER TRADITION
Die einfachsten Gregorianischen Gesänge, die die Gläubigen laut Weisung der Konzilskonstitution über die heilige Liturgie lernen und singen sollen.
CD und Pdf downloads

OS CANTOS DA TRADIÇÃO
Os cantos gregorianos mais simples que os fiéis são convidados a aprender e cantar segundo a intenção da Constituição do Concílio Vaticano II sobre a Sagrada Liturgia.
CD e Pdf área download

Download full zipped CD here or here.

Una messa (in latino) contro la depressione

di Silvana De Mari

Viviamo nell’epoca più pacifica e ricca della storia, ma siamo la generazione più disperata: abbiamo perso i riti condivisi, il mezzo per propagare le emozioni in una comunità coesa. Se vogliamo recuperare l’identità smarrita, riscopriamo l’eucaristia tradizionale.

Perché siamo depressi? Perché abbiamo perduto il senso di identità, abbiamo sostituito (caso unico nella storia) la religione con il nulla e non abbiamo più riti condivisi. Perciò la lezione di oggi dà un’indicazione chiara: per diventare infrangibili si può cominciare ad andare a messa. Magari in latino.

Perché è successo? Perché la prima generazione dall’inizio del mondo che non ha conosciuto né fame né guerra né epidemia è la più triste disperata? La depressione, i disturbi fobici sono aumentati del 1.200% negli ultimi 50 anni, i disturbi alimentari preferiamo non contarli.
Uno: ci siamo allontanati dal sole, e niente serotonina.
Due: abbiamo perso il movimento, elemento essenziale all’assetto dei neurotrasmettitori.
Tre: i giornali, la televisione, i media. Un giornale per rendere deve pubblicare l’eccezione, e l’eccezione è il male. I media ci parlano della nazione devastata dalla guerra, che è l’eccezione, non delle centinaia di nazioni che sono in pace, che sono la regola. Se facciamo i conti dei morti ammazzati, in percentuale, sull’astronomica cifra di 7 miliardi di creature umane, scopriremo che questa è l’epoca di minore violenza dall’inizio del mondo. Il telegiornale ci parla dell’uomo che ha fatto la rapina, non dei milioni di uomini che non l’hanno fatta perché loro sono la banale norma. I giornali e la televisione seguiti costantemente ci daranno l’impressione di vivere in un mondo orrendo, quello che non acquistiamo la capacità di ricostruire le proporzioni esatte attraverso i numeri.
Quattro, (forse il punto più importante): da 60 anni a questa parte siamo diventati l’unico popolo mai esistito che ha rinnegato la propria religione per non rimpiazzarla con nulla, se non il vuoto.

Siamo l’unica civiltà priva di celebrazioni con valore sociale. Quelle che resistono hanno perso ogni bellezza: è il caso della musica sacra dopo il Vaticano II.

Noi abbiamo perso il rito. Il rito è un’emozione condivisa, quindi il rito è il mezzo attraverso cui le emozioni si propagano e si moltiplicano. Se sono un’esperta di meditazione, riuscirò da sola con la mia mente a raggiungere picchi di estasi, come fanno normalmente molti monaci buddisti; quei picchi sono facilmente raggiungibili se appartengo a un gruppo che sta celebrando un rito, che questo rito sia la preghiera, magari in qualche posto particolare come Lourdes o Međugorje. Anche un rito completamente laico come assistere tutti insieme a una partita di calcio, oppure un rito (perché è un rito) come l’opera lirica o il concerto rock moltiplica emozioni, sia pure in maniera minore di quello religioso, e chiunque non condivida quel tipo di emozione trova il rito ridicolo. Ridicolo è una parola di disprezzo e disapprovazione. Tanto più basso è il nostro livello di disprezzo e disapprovazione, tanto più alta è la nostra capacità di provare gioia in quel rito. Qualsiasi rito è ridicolo per coloro che non lo condividono. Chi non condivide il calcio trova bizzarro tutto l’entusiasmo dei tifosi; il mio vicino di casa che detesta la lirica, non ha mai capito perché diavolo spendiamo dei quattrini per andare a sentire una cosa che peraltro abbiamo già sentito, e come sia possibile che ci colino le lacrime, quando il personaggio femminile muore di tubercolosi, tenendo presente che lo sapevamo già che sarebbe morta di tubercolosi, da anni.
Una delle cause di questo aumento folle della depressione è la perdita del rito religioso condiviso: noi siamo l’unica società, l’unica civiltà dall’inizio dell’esistenza dell’uomo che non ha riti condivisi. Solamente il 10%, una persona su dieci, in Europa va a messa, il che non permette ai propri figli di condividere il rito. Una seconda causa è la perdita della bellezza e della religiosità del rito condiviso. Il Concilio Vaticano II ha tolto dalla messa la musica di Johann Sebastian Bach e di Wolfgang Amadeus Mozart: è dimostrato che questa musica ha vibrazioni straordinarie che sostengono il cervello umano. Le ridicole canzoncine che si sentono oggi durante la messa sono avvilenti. La bellezza degli altari è stata desacralizzata in «mense» di plastica e ferro. La lingua sacra, il latino, che era la stessa dalla Polonia al Sud America dal primo al XX secolo, è stata cancellata e così l’ecumenismo è morto. La messa cattolica è stata imbruttita, secolarizzata, ridicolizzata. Gli alberi si riconoscono dai frutti. Mezzo secolo dopo la riforma liturgica del Vaticano II, una riforma che ha spazzato via 2.000 anni di storia per sostituirli con una modernità agonizzante, che ha spazzato via il sacro per sostituirlo con il sociale, le chiese sono vuote, trasformate in centri commerciali e moschee e potrebbero non sopravvivere alla prossima generazione per mancanza di sacerdoti.
I nostri figli devono avere un rito condiviso; non fate vivere i bambini senza un rito condiviso, è una violenza. Molti pensano: ma se io ingabbio mio figlio in una religione è una violenza. No, è una violenza se tu gli dici, tu fai parte di questa religione, se mai ne uscirai noi ti ammazziamo, quella è violenza. La perdita del rito condiviso è qualcosa di gravissimo, i nostri figli non hanno qualcuno da pregare quando moriamo. Potremmo anche morire che loro sono bambini e allora l’unica potenza gli arriverà dal rito condiviso; non è solo questo, il rito condiviso è anche altro. Cosa vuol dire costringere un bambino piccolo a stare fermo e zitto vicino a papà e mamma, mentre questi sono in chiesa ad ascoltare la messa oppure in sinagoga ad ascoltare la celebrazione dello Shabbat o in qualche altro posto ad ascoltare qualche altra roba; questo bambino non ha la sensazione della solitudine, perché papà e mamma sono vicino a lui, ma deve stare fermo e zitto, deve subire una frustrazione, non può giocare con mamma, non può chiacchierare con papà. Tutte le volte che cerca di fare qualche cosa gli arriva un’occhiataccia. Quindi è frustrato, noi cresciamo solo sulle frustrazioni ed è imponendo a questi bambini questa frustrazione, che loro imparano a stare fermi e zitti. Il bambino concentra l’attenzione su cose straordinarie: musica straordinaria, immagini straordinarie, odori straordinari, come l’incenso. Quindi esegue operazioni necessarie a uno sviluppo armonioso della capacità di concentrazione.

Non è una violenza trasmettere ai figli la propria religione. In chiesa imparano l’ordine e a contenere gli impulsi: lezione utile nella vita.

Studi enormi dimostrano l’importanza della spiritualità non solo nella costruzione della felicità, ma anche nella costruzione dell’equilibrio neurologico.
Quindi: istruzioni per diventare infrangibili. Cercate una chiesa dove dicano la messa in latino e andate a sentirla. La traduzione è su internet, ma è molto più bello procurarsi un messale, e sentire il peso della carta sapendo che quelle parole sono state le stesse per secoli e che per secoli rimarranno tali. Vuol dire avere un ponte con tutti gli antenati che ci hanno preceduto. Se non siete credenti e se non sapete il latino fatelo ugualmente. Nessuno può vivere senza identità. Se siete credenti ritroverete il senso del sacro e quello della bellezza.

Articolo originale qui.

Riprodotto per gentile concessione de La Verità.

Dominica III Adventus – 16 Dec 2018

In hac Missa adhibetur color violaceus vel rosaceus.

Ant. ad introitum Phil 4, 4-5
Gaudéte in Dómino semper: íterum dico, gaudéte.
Dóminus enim prope est.

Non dicitur Glória in excélsis.

Collecta
Deus, qui cónspicis pópulum tuum
nativitátis domínicæ festivitátem fidéliter exspectáre,
præsta, quǽsumus,
ut valeámus ad tantæ salútis gáudia perveníre,
et ea votis sollémnibus álacri semper lætítia celebráre.
Per Dóminum.

Dicitur Credo.

Super oblata
Devotiónis nostræ tibi, Dómine, quǽsumus,
hóstia iúgiter immolétur,
quæ et sacri péragat institúta mystérii
et salutáre tuum nobis poténter operétur.
Per Christum.

Præfatio I vel II de Adventu.

Ant. ad communionem Cf. Is 35, 4
Dícite: Pusillánimes, confortámini et nolíte timére:
ecce Deus noster véniet et salvábit nos.

Post communionem
Tuam, Dómine, cleméntiam implorámus,
ut hæc divína subsídia, a vítiis expiátos,
ad festa ventúra nos prǽparent.
Per Christum.

Adhiberi potest formula benedictionis sollemnis.

© Copyright – Libreria Editrice Vaticana

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La lingua latina

Sull’uso della lingua latina nella liturgia, si rimanda al cap. II sulla lingua sacra. In questo contesto si ricorda solo che il culto cristiano, fino alla metà del IV secolo fu in lingua greca; quindi venne tradotto in latino. Latino che assume e mantiene i tratti eleganti di una lingua letteraria e ornata, a motivo dell’uso cultico: dunque non si assiste a una “democratizzazione” della Liturgia che qualcuno vorrebbe paragonare all’ormai prevalere della lingua vernacola nelle moderne celebrazioni! Quanto alla lingua volgare nelle celebrazioni liturgiche, va rilevato che nel secolo scorso si è progressivamente dato oculato spazio alle lingue nazionali per quelle parti dei riti in cui si ritiene esse possano favorire una migliore fruizione del rito da parte dei fedeli: è il caso del Rituale Romanum latino-francese (1948), latino-tedesco (1950), latino-italiano (1953), così come la concessione fatta già dopo il Concilio di Trento per alcune terre di missione o la pratica di leggere le letture nella lingua del luogo, così come esortato dall’Istruzione della Sacra Congregazione dei Riti sulla Musica Sacra e la Sacra Liturgia del 3 settembre 1958 (nn. 14c; 16c; 96e). Se più di una ragione consiglia di mantenere (o nella nostra epoca dovremmo dire ripristinare) l’uso della lingua latina nella Liturgia della Chiesa, una saggia attenzione pastorale non disdegnerà il ricorso alla lingua vernacola laddove consentito, secondo quanto detto sopra. L’introduzione nel culto della lingua volgare, in maniera pressoché esclusiva, è il “frutto maturo” del protestantesimo.

Il Guéranger scrisse profeticamente:

Poiché la riforma liturgica ha tra i suoi fini principali l’abolizione degli atti e delle formule mistiche, ne segue necessariamente che i suoi autori debbano rivendicare l’uso della lingua volgare nel servizio divino. Questo è uno dei punti più importanti agli occhi dei settari. Il culto non è una cosa segreta, essi dicono: il popolo deve capire quello che canta. L’odio per la lingua latina è innato nel cuore di tutti i nemici di Roma. […] Riconosciamolo, è un colpo maestro del protestantesimo aver dichiarato guerra alla lingua sacra: se fosse riuscito a distruggerla, il suo trionfo avrebbe fatto un gran passo avanti. Offerta agli sguardi profani come una vergine disonorata, la liturgia, da questo momento, ha perduto il suo carattere sacro, e ben presto il popolo troverà eccessiva la pena di disturbarsi nel proprio lavoro o nei propri piaceri per andare a sentir parlare come si parla sulla pubblica piazza (P. Guéranger, Institutions Liturgiques, vol. I, Paris 1878, pp. 402-403, trad. F. Marino).

Marino Neri, Salirò all’altare di Dio. Principi di Sacra Liturgia, Fede & Cultura 2015, pp. 145-146 (riprodotte con il gentile permesso dell’Autore)

L’altare verso il popolo

È questo uno degli elementi sbandierati dai “neomodernisti” per segnare la cesura tra una “chiesa tridentina” e un “nuovo corso ecclesiale” postconciliare. Benché nessun documento né conciliare né successivo facciano obbligo di istituire nuovi altari “verso il popolo” laddove vi siano altari antichi, va detto che la questione è facilmente esauribile dal punto di vista storico lasciando parlare i fatti archeologici e letterari. Sappiamo infatti come l’attenzione del primo grande edificatore di basiliche, l’imperatore Costantino, fosse quella suggerita dalla mens liturgica del IV secolo, cioè quella di “orientare” (cioè edificare verso Oriente) la celebrazione. Questo significa che il punto di fuga verso cui si dirigeva ritualmente ogni atto di culto era l’Oriente, luogo del primo Paradiso; luogo da cui tornerà il Signore nella parusìa, simbolo stesso di Cristo secondo le ben note parole di Zaccaria: «Grazie alla bontà misericordiosa del nostro Dio, per cui verrà a visitarci dall’alto un sole che sorge per rischiarare quelli che stanno nelle tenebre e nell’ombra della morte e dirigere i nostri passi sulla via della pace» (Lc 1,78-79). Pertanto, le prime basiliche hanno l’altare rivolto verso la facciata principale, la quale è edificata verso Oriente (si vedano per esempio le basiliche patriarcali romane, la basilica dell’Anàstasis a Gerusalemme, ecc.). I fedeli, come mostrano molte evidenze archeologiche, non occupavano la navata centrale, bensì stipavano le ampie navate laterali, motivo per cui la basilica costantiniana tipica è a cinque navate (di cui quattro laterali), e le maggiori chiese erano addirittura a sei navate. Essi circumstant l’altare, come ricorda il Canone romano (Memento, Domine, famulorum famularumque tuarum et omnium circumstantium): e il verbo circumsto, in lingua latina, esprime “l’atto di chi sta intorno”, non già come un moderno commensale attorno al tavolo, bensì, in senso più ampio, a mo’ di corona rispetto a un vertice, che è nella fattispecie l’altare. Il circum latino corrisponde, di fatto come un calco in molti verbi e sostantivi composti, al greco perì, con la valenza certamente di “intorno”, ma anche di “presso”. Ma questa usanza di costruire edifici sacri con la facciata all’est reale comincia già a incrinarsi all’inizio del V secolo, quando Paolino di Nola, descrivendo la nuova basilica di Cimitile da lui innalzata in onore di San Felice di Nola, scrive: «La facciata della basilica, poi, non è rivolta verso oriente, come è usanza più comune, ma guarda verso la basilica di S. Felice, mio signore, rivolta verso il suo sepolcro». Si fa strada il concetto che modernamente si chiama “oriente ideale”, che tanto spazio avrà nell’edilizia sacra dall’età rinascimentale in poi: l’orientamento della chiesa non volge sempre a Oriente, bensì si simbolizza un “oriente convenzionale” che può essere come nel caso di Paolino, la tomba di un santo, un luogo di un’apparizione, o, in ultima analisi, la croce, che prenderà posto sopra l’altare coll’imporsi delle chiese coll’abside a est (e dunque con il mutamento strutturale dell’altare che si edifica attaccato alla dorsale o alla retro-tabula, un pannello ornamentale posto dietro gli altari stessi) tra il IX e il X secolo. Concludendo: la celebrazione cattolica è da sempre rivolta ad Deum, secondo modalità certamente differenti nel corso della storia, ma non contrastanti, armoniche quanto alla dottrina e alla spiritualità a esse sottese. La modalità celebrativa verso il popolo è di ascendenza squisitamente luterana: secondo lo spirito della riforma protestante, infatti, la Messa non ha carattere sacrificale, bensì è un pasto commemorativo dell’Ultima Cena del Signore. Valgano, su tutte, le inequivocabili parole di Lutero:

Lasciamo ancora sussistere gli indumenti per la messa, l’altare, le candele, finché seguiamo quest’uso o preferiamo cambiarlo. Ma se qualcuno in questo vuole procedere diversamente, lo lasciamo fare. Però nella vera messa, fra veri cristiani, l’altare non dovrebbe rimanere com’è e il sacerdote dovrebbe volgersi sempre verso il popolo, come, senza dubbio, ha fatto Cristo durante la Cena (sic). Ma aspettiamo che il tempo sia maturato per ciò (M. Lutero, Messa in volgare e ordine del servizio divino, in Scritti religiosi, a cura di V. Vinay, Torino 1986).

Ancora una volta, il mito del ritorno alle origini si fa ideologia.

Marino Neri, Salirò all’altare di Dio. Principi di Sacra Liturgia, Fede & Cultura 2015, pp. 142-145 (riprodotte con il gentile permesso dell’Autore)

Dominica II Adventus – 9 Dec 2018

Ant. ad introitum Cf. Is 30, 19.30
Pópulus Sion, ecce Dóminus véniet ad salvándas gentes;
et audítam fáciet Dóminus glóriam vocis suæ in lætítia
cordis vestri.

Non dicitur Glória in excélsis.

Collecta
Omnípotens et miséricors Deus,
in tui occúrsum Fílii festinántes
nulla ópera terréni actus impédiant,
sed sapiéntiæ cæléstis erudítio nos fáciat eius esse consórtes.
Qui tecum.

Dicitur Credo.

Super oblata
Placáre, Dómine, quǽsumus,
nostræ précibus humilitátis et hóstiis,
et, ubi nulla súppetunt suffrágia meritórum,
tuæ nobis indulgéntiæ succúrre præsídiis.
Per Christum.

Præfatio I de Adventu.

Ant. ad communionem Bar 5, 5; 4, 36
Ierúsalem, surge et sta in excélso,
et vide iucunditátem, quæ véniet tibi a Deo tuo.

Post communionem
Repléti cibo spiritális alimóniæ,
súpplices te, Dómine, deprecámur,
ut, huius participatióne mystérii,
dóceas nos terréna sapiénter perpéndere,
et cæléstibus inhærére.
Per Christum.

Adhiberi potest formula benedictionis sollemnis.

© Copyright – Libreria Editrice Vaticana

Messalino in PDF con letture in lingua italiana (da stampare su fogli A3 fronte/retro)

Missalette in PDF with readings in English (to be printed on A3 sheets, front/back)