Sull’orientamento dell’altare e del celebrante nella celebrazione della Santa Messa

I protagonisti del dibattito sull’orientamento dell’altare e del celebrante evidenziano come la figura del presbitero che all’altare volge le spalle all’assemblea, sia espressione del carattere sacrificale della Messa, mentre, al contrario, la scelta della celebrazione versus populum risponda meglio alla natura conviviale dell’Eucaristia. Seguendo questa spiegazione, si potrebbe dire che “l’ideale” sarebbe che il celebrante celebri rivolto al popolo quei riti che manifestano più immediatamente il carattere conviviale – liturgia della Parola, ecc. –, e volga le spalle ai fedeli durante la preghiera eucaristica.

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Offering the Novus Ordo Ad Orientem

The rubrics presume that the Mass will be offered ad orientem. Absolutely nothing in the law prevents this. So what is the problem?

I really do not think the faithful are a hurdle. If they trust their priests, if their priests love them, and they know it, they will listen. Sure, some, the more ideologically hidebound, will protest. But, as they say, one cannot please everyone.

The real hurdle lies with my brother priests.

Of course each presbyterate is different, and the Church in the US, in general, has tacked much more towards tradition and orthodoxy in recent years, than many other parts of the world. Yet, the idea that one should be offering Mass ad orientem is still considered taboo.

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7 Ideen für eine würdige heilige Messe / 7 idee per una santa Messa degna

Priester und Gläubige sind (liturgisch) nach Osten ausgerichtet. Die Liturgiereform nach dem Zweiten Vatikanischen Konzil schreibt nicht vor, dass der Priester der Gemeinde gegenüber stehen muss. Dieser Schritt würde mehr als alle anderen dazu beitragen, die Gläubigen und die Priester die richtige innere Haltung einnehmen zu lassen.

The mass being said ad orientem means that the priest and the faithful face the same direction, (liturgical) east. Many people think that Vatican II or the Novus Ordo requires the priest to face the people. This is simply not true. In fact, the rubrics of the new mass anticipates that the mass be said ad orientem and instructs the priest when he should face the people.

Artikel auf Deutsch hier.

English original here.

Dokumente zur Zelebration zum Herrn hin

Zu den auffälligsten Neuerungen in der römisch-katholischen Liturgie seit über vierzig Jahren gehört, daß der Priester die hl. Messe zumeist an einem freistehenden Altar im Gegenüber zu den Gläubigen feiert. Nach dem Zweiten Vatikanischen Konzil ist diese Praxis binnen kurzer Zeit sehr gebräuchlich geworden und führt bis heute zu ebenso einschneidenden wie kontroversiellen Umbauarbeiten in alten Kirchen. Das ist umso erstaunlicher, als in der Konstitution über die hl. Liturgie des Konzils Sacrosanctum Concilium genaugenommen mit keinem Wort davon die Rede ist. Weder wird eine Zelebration „zum Volk hin gewandt“ erwähnt, noch ist von der Errichtung neuer Altäre die Rede.
Was sagen aber die nachkonziliaren liturgischen Dokumente über die Stellung des Liturgen am Altar „versus orientem“ (=nach Osten gewendet) bzw. „versus absidem“ (=zur Apsis, zum Hochaltar gewendet)? Im folgenden soll dieser Frage nachgegangen werden. Dabei hat es sich als nützlich erwiesen, die diesbezüglichen nachkonziliaren Dokumente chronologisch geordnet und im Wortlaut – wenn auch in Auszügen – zusammenzustellen.

P. Paul Wodrazka, Pfarre St. Rochus, Wien.

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Riorientare la Messa

Padre Lang spiega come si deve essere “rivolti al Signore”.

L’obiezione che solitamente viene sollevata rispetto alla forma antica di celebrare la Messa è che il sacerdote dà le spalle alla comunità, ma questo è un falso problema, secondo padre Uwe Michael Lang.
La postura “ad orientem” – verso oriente – riguarda piuttosto la volontà di assumere una direzione comune (tra comunità e sacerdote) nella preghiera liturgica, aggiunge.
Padre Lang del London Oratory, recentemente nominato alla Pontificia Commissione per i beni culturali della Chiesa, è autore del libro “Rivolti al Signore. L’orientamento nella preghiera liturgica”. Il libro è stato pubblicato inizialmente in Germania da Johannes Verlag e poi in inglese da Ignatius Press. Successivamente è apparso anche in italiano (ed. Cantagalli), francese, ungherese e spagnolo.
In questa intervista rilasciata a ZENIT, padre Lang parla della postura “ad orientem” e della possibilità di riscoprire questa antica pratica liturgica.

Come si è sviluppata, nella Chiesa dei primi secoli, la pratica di celebrare la liturgia “ad orientem”, rivolti verso oriente? Qual è il suo significato teologico?

Padre Lang: Nella maggior parte delle religioni, la posizione che si assume nella preghiera e nell’orientamento dei luoghi sacri è determinata da una “direzione sacra”. La direzione sacra dell’ebraismo è verso Gerusalemme o più precisamente verso la presenza del Dio trascendente “shekinah” nel Sancta Sanctorum del Tempio, come si legge in Daniele 6,11.
Anche dopo la distruzione del Tempio, l’uso di rivolgersi verso Gerusalemme è rimasto nella liturgia della sinagoga. È così che gli ebrei hanno espresso la loro speranza escatologica per l’arrivo del Messia, per la ricostruzione del Tempio e per il rientro del popolo di Dio dalla diaspora.
I primi cristiani non si volgevano più verso la Gerusalemme terrena, ma verso la nuova Gerusalemme celeste. La loro ferma convinzione era che con la seconda venuta, nella gloria, il Cristo risorto avrebbe radunato il suo popolo per costituire questa città celeste.
Essi vedevano nel sorgere del sole un simbolo della Risurrezione e della seconda venuta. E questo simbolo è stato quindi trasposto anche nella preghiera. Vi sono elementi che ampiamente dimostrano che dal secondo secolo in poi, in gran parte del mondo cristiano, la preghiera era rivolta verso oriente.
Nel Nuovo Testamento, il significato della preghiera orientata (rivolta verso oriente) non è esplicito.
Ciò nonostante la Tradizione ha individuato molti riferimenti testuali a questo simbolismo, come ad esempio: il “sole di giustizia” in Malachia 3, 30; “verrà a visitarci dall’alto un sole che sorge” in Luca 1, 78; l’angelo che sale dall’oriente con il sigillo del Dio vivente in Apocalisse 7, 2; e le immagini di luce nel Vangelo di san Giovanni.
In Matteo 24, 27-30 il segno della venuta del Figlio dell’Uomo con grande potenza e gloria, come la folgore che viene da oriente e brilla fino a occidente, è la croce.
Esiste una stretta relazione tra la preghiera orientata e la croce; questo risulta evidente sin dal quarto secolo, se non prima. Nelle sinagoghe di quel periodo, il punto in cui erano collocati i rotoli della Torah indicava la direzione della preghiera “qibla” verso Gerusalemme.
Tra i cristiani divenne uso comune segnare la direzione della preghiera con una croce sul muro orientale nelle absidi delle basiliche e nei luoghi privati, per esempio, dei monaci e degli eremiti.
Verso la fine del primo millennio vi sono teologi di diverse tradizioni che osservano come la preghiera orientata sia una delle pratiche che distinguono il Cristianesimo dalle altre religioni del Vicino Oriente: gli ebrei pregano verso Gerusalemme, i musulmani verso la Mecca, mentre i Cristiani verso oriente.

Anche gli altri riti della Chiesa cattolica adottano l’orientamento liturgico?

Padre Lang: La preghiera liturgica orientata (rivolta verso oriente) fa parte anche delle tradizioni bizantina, siriaca, armena, copta ed etiope. Ancora oggi essa è in uso nella maggior parte dei riti orientali, almeno per quanto riguarda la preghiera eucaristica.
Alcune Chiese cattoliche orientali, come ad esempio quella maronita e quella siro-malabarese, hanno adottato in tempi recenti la Messa rivolta “versus populum”, ma questo è dovuto all’influenza moderna occidentale e non deriva dalle proprie tradizioni.
Per questo motivo la Congregazione vaticana per le Chiese orientali ha dichiarato nel 1996 che l’antica tradizione di pregare rivolti verso oriente ha un profondo valore liturgico e spirituale e deve essere preservata nei riti orientali.

Spesso sentiamo dire che “ad orientem” significa che il sacerdote sta celebrando con le spalle rivolte alla comunità. Ma qual è il significato vero di questo orientamento?

Padre Lang: Il luogo comune secondo cui il prete dà le spalle alla gente è un falso problema in quanto il punto essenziale è che la Messa è un atto di culto comune, in cui il sacerdote insieme alla comunità – che rappresentano la Chiesa pellegrina – protendono verso il Dio trascendente.
La questione non è se la celebrazione è rivolta “verso” o “contro” la comunità, ma è la comune direzione della preghiera liturgica che conta. E ciò si può avere a prescindere dall’orientamento dell’altare. In Occidente molte chiese costruite dopo il XVI secolo non sono più orientate.
Il sacerdote all’altare, rivolto nella stessa direzione dei fedeli, guida il popolo di Dio nel cammino della fede. Questo movimento verso il Signore trova la sua massima espressione nei santuari di molte chiese del primo millennio, in cui la rappresentazione della croce o del Cristo glorificato indica la meta del pellegrinaggio terreno dell’assemblea.
Essere rivolti verso il Signore significa mantenere vivo il senso escatologico dell’Eucaristia e ci ricorda che la celebrazione del Sacramento è una partecipazione alla liturgia celeste e la promessa della futura gloria nella presenza del Dio vivente.
Questo dà all’Eucaristia la sua grandezza, evitando che la singola comunità si chiuda in se stessa, aprendola verso l’assemblea degli angeli e dei santi nella città celeste.

In che modo può una liturgia orientata promuovere il dialogo con il Signore nella preghiera?

Padre Lang: L’elemento principale del culto cristiano è il dialogo tra il popolo di Dio nel suo complesso, compreso il celebrante, e Dio verso il quale è rivolta la preghiera.
È per questo che il liturgista Marcel Metzger sostiene che la diatriba sul verso in cui è rivolto il celebrante rispetto alla comunità esclude del tutto colui verso il quale tutte le preghiere sono dirette, ovvero Dio stesso.
L’Eucaristia non è celebrata con il sacerdote rivolto verso i fedeli o dando loro le spalle. Piuttosto è l’intera assemblea che celebra rivolta verso Dio, attraverso Gesù Cristo, nello Spirito Santo.

Nella premessa al suo libro, l’allora cardinale Ratzinger osserva che nessuno dei documenti del Concilio Vaticano II indica di dover rivolgere l’altare verso i fedeli. Come si è verificato allora il cambiamento? Qual è la base per tale importante modifica della liturgia?

Padre Lang: Solitamente si citano due argomenti principali per sostenere la posizione del celebrante rivolto verso i fedeli.
Il primo è che tale pratica corrisponde a quella della Chiesa dei primi secoli e che pertanto deve essere adottata come la norma anche ai tempi nostri. Tuttavia, un’attenta analisi dei documenti non dà conferma a questa ipotesi.
Il secondo è che la “attiva partecipazione” dei fedeli, un principio introdotto da Papa Pio X e diventato centrale nella “Sacrosanctum Concilium”, impone che il celebrante sia rivolto verso la comunità.
Ma una riflessione critica sul concetto di “attiva partecipazione” ha di recente rivelato la necessità di una nuova valutazione teologica di questo importante principio.

Nel suo libro “Lo spirito della liturgia”, l’allora cardinale Ratzinger compie una utile distinzione tra la partecipazione alla liturgia della Parola, che comprende azioni esterne, e la partecipazione alla liturgia eucaristica, in cui le azioni esterne sono del tutto secondarie, poiché è la partecipazione interiore della preghiera che costituisce l’elemento centrale.
La recente esortazione apostolica post-sinodale del Santo Padre “Sacramentum Caritatis” contiene una importante trattazione di questo argomento al paragrafo 52.

Il nuovo ordinamento della Messa promulgato da Papa Paolo VI nel 1970 vieta al sacerdote di rivolgersi ad oriente? Esiste qualche ostacolo giuridico che vieta l’uso più ampio di questa antica pratica?

Padre Lang: Il Messale di Papa Paolo VI considera come un’opzione legittima quella di combinare la posizione del sacerdote rivolto verso i fedeli durante la liturgia della Parola e la posizione di entrambi rivolti verso l’altare durante la liturgia eucaristica e in particolare per il Canone.
La versione revisionata delle Istruzioni generali del Messale romano, che sono state pubblicate inizialmente per motivi accademici nel 2000, affronta la questione dell’altare al paragrafo 299, che sembra considerare la posizione del celebrante rivolto “ad orientem” come non opportuna o persino vietata.
Tuttavia, la Congregazione per il culto divino e i sacramenti ha rigettato questa interpretazione in risposta ad una domanda sottoposta dal cardinale Christoph Schönborn, Arcivescovo di Vienna. Ovviamente il paragrafo delle Istruzioni generali deve essere letto alla luce di questa riposta, datata 25 settembre 2000.

La recente lettera apostolica di Benedetto XVI “Summorum Pontificum”, che liberalizza l’uso del Messale di Giovanni XXIII, consentirà un più profondo apprezzamento della posizione “rivolti verso il Signore” durante la Messa?

Padre Lang: Io credo che molte riserve o persino timori sulla Messa “ad orientem” derivino da una scarsa familiarità con essa e che la diffusione dell’ “uso straordinario” del rito romano antico aiuterà molte persone a riscoprire e apprezzare questa forma di celebrazione.

Uwe Michael Lang (Zenit, giovedì, 25 ottobre 2007)

La bellezza materiale e concretissima della liturgia

La tradizione sapienziale biblica acclama Dio come “lo stesso autore della bellezza” (Sapienza, 13, 3), glorificandolo per la grandezza e la bellezza delle opere della creazione. Il pensiero cristiano, prendendo spunto soprattutto dalla sacra Scrittura, ma anche dalla filosofia classica, ha sviluppato la concezione della bellezza come categoria ontologica, anzi teologica.

San Bonaventura è stato il primo teologo francescano a includere la bellezza tra le proprietà trascendentali, insieme all’essere, alla verità e alla bontà. I teologi domenicani sant’Alberto Magno e san Tommaso d’Aquino, pur non annoverando la bellezza fra i trascendentali, intraprendono un simile discorso nei loro commentari sul trattato pseudo-dionisiano De divinis nominibus, dove emerge l’universalità della bellezza, la cui prima causa è Dio stesso.

Nella condizione della modernità, ciò che è contestato è proprio la dimensione trascendente della bellezza, commutabile con la verità e la bontà. La bellezza è stata privata del suo valore ontologico ed è stata ridotta a un’esperienza estetica, addirittura a un mero “sentimento”. Le conseguenze di questa svolta soggettivista si sentono non solo nel mondo dell’arte. Piuttosto, insieme con la perdita della bellezza come trascendentale, si è persa anche l’evidenza della bontà e della verità. Il bene è privo dalla sua forza di attrazione, come il teologo svizzero Hans Urs von Balthasar ha rilevato con esemplare chiarezza nel suo opus magnum sull’estetica teologica Herrlichkeit (La gloria del Signore).

Certamente la tradizione cristiana conosce anche un falso tipo di bellezza che non innalza verso Dio e il suo Regno, ma invece trascina lontano dalla verità e bontà e suscita desideri disordinati. Il libro della Genesi rende chiaro che è stata una falsa bellezza a portare al peccato originale. Visto che il frutto dell’albero in mezzo al giardino era un vero piacere per gli occhi (Genesi, 3, 6), la tentazione del serpente provoca Adamo ed Eva alla ribellione contro Dio.

Il dramma della caduta dei progenitori fa da sfondo a un passo, ne I Fratelli Karamazov (1880) dello scrittore russo Fëdor Dostoevskij (1821-1881), dove Mitia Karamazov, uno dei protagonisti del romanzo, dice: “La cosa paurosa è che la bellezza non solo è terribile, ma è anche un mistero. È qui che Satana lotta con Dio, e il loro campo di battaglia è il cuore degli uomini”.

Lo stesso Dostoevskij nel suo romanzo L’idiota (1869) mette sulla bocca del suo eroe, il principe Mishkin, le famose parole: “Il mondo sarà salvato dalla bellezza”. Dostoevskij non intende qualsiasi bellezza, anzi, si riferisce alla bellezza redentrice di Cristo.

Nel suo messaggio magistrale per il Meeting di Rimini nel 2002, l’allora cardinale Joseph Ratzinger rifletteva su questo famoso detto di Dostoevskij, trattando l’argomento dalla prospettiva biblico-patristica. Come punto di partenza, egli si serve del salmo 44, letto nella tradizione ecclesiale “come rappresentazione poetico-profetica del rapporto sponsale di Cristo con la Chiesa”. In Cristo, “il più bello tra gli uomini”, appare la bellezza della Verità, la bellezza di Dio stesso.

Nell’esegesi di questo salmo, i Padri della Chiesa, come sant’Agostino e san Gregorio di Nissa, accoglievano anche gli elementi più nobili della filosofia greca del bello, mediante la lettura dei platonici, ma non li ripetevano semplicemente, poiché con la rivelazione cristiana è entrato un nuovo fatto: è lo stesso Cristo, “il più bello tra gli uomini”, al quale la Chiesa, ricordandolo come sofferente, attribuisce anche la profezia di Isaia (53, 2 ) “non ha bellezza né apparenza; l’abbiamo veduto: un volto sfigurato dal dolore”.

Nella passione di Cristo si incontra una bellezza che va al di là di quella esteriore e si apprende “che la bellezza della verità comprende offesa, dolore e (…) anche l’oscuro mistero della morte, e che essa può essere trovata solo nell’accettazione del dolore, e non nell’ignorarlo”, come accenna l’allora cardinale Ratzinger.

Perciò, ha parlato di una “paradossale bellezza”, pur notando che il paradosso “è una contrapposizione, ma non una contraddizione”, quindi è nella totalità che si rivela la bellezza di Cristo, quando contempliamo l’immagine del Salvatore crocifisso, che mostra il suo “amore sino alla fine” (Giovanni, 13, 1).

La bellezza redentrice di Cristo si riflette soprattutto nei santi di ogni epoca, ma anche nelle opere d’arte che la fede ha generate: esse hanno la capacità di purificare e di sollevare i nostri cuori e, così, di portarci al di là di noi stessi verso Dio, che è la Bellezza stessa. Il teologo Joseph Ratzinger è convinto che questo incontro con la bellezza “che ferisce l’anima e in questo modo le apre gli occhi” sia “la vera apologia della fede cristiana”.

Da Papa, ha ribadito questi suoi pensieri nell’incontro con il clero di Bolzano-Bressanone dell’ 8 agosto 2008 e nel suo messaggio in occasione della recente seduta pubblica delle Pontificie Accademie del 24 novembre 2008: “Questo” – ha detto il Santo Padre nella prima circostanza – “è in qualche modo la prova della verità del cristianesimo: cuore e ragione si incontrano, bellezza e verità si toccano”.

Occorre aggiungere che per Benedetto XVI la bellezza della verità si manifesta soprattutto nella sacra liturgia. Infatti, ha ripreso la sua riflessione sulla bellezza redentrice di Cristo nella sua esortazione apostolica postsinodale Sacramentum Caritatis (22 febbraio 2007), dove riflette sulla gloria di Dio che si esprime nella celebrazione del mistero pasquale. La liturgia “costituisce, in un certo senso, un affacciarsi del Cielo sulla terra. (…) elemento costitutivo, in quanto è attributo di Dio stesso e della sua rivelazione. Tutto ciò deve renderci consapevoli di quale attenzione si debba avere perché l’azione liturgica risplenda secondo la sua natura propria” (n. 35).

La bellezza della liturgia si manifesta anche attraverso le cose materiali di cui l’uomo, fatto di anima e corpo, ha bisogno per raggiungere le realtà spirituali: l’edificio del culto, le suppellettili, le immagini, la musica, la dignità delle cerimonie stesse. La liturgia esige il meglio delle nostre possibilità, per glorificare Dio Creatore e Redentore. Nell’udienza generale del 6 maggio 2009, dedicata a san Giovanni Damasceno, noto come difensore del culto delle immagini nel mondo bizantino, Benedetto XVI spiega “la grandissima dignità che la materia ha ricevuto nell’Incarnazione, potendo divenire, nella fede, segno e sacramento efficace dell’incontro dell’uomo con Dio”.

Va riletto in merito anche il capitolo sul “Decoro della celebrazione liturgica” nell’ultima enciclica Ecclesia de Eucharistia del servo di Dio Giovanni Paolo II (17 aprile 2003), dove insegna che la Chiesa, come la donna dell’unzione di Betania, identificata dall’evangelista Giovanni con Maria sorella di Lazzaro (Giovanni, 12; cfr. Matteo, 26; Marco, 14), “non ha temuto di “sprecare”, investendo il meglio delle sue risorse per esprimere il suo stupore adorante di fronte al dono incommensurabile dell’Eucaristia” (47-48).

La questione liturgica è anche essenziale per la valorizzazione del grande patrimonio cristiano non soltanto in Europa, ma anche nell’America Latina e in altre parti del mondo, dove il Vangelo è stato proclamato da secoli.

Nel 1904, lo scrittore Marcel Proust (1871-1922) pubblicò un celebre articolo su “Le Figaro“, intitolato La mort des cathédrales, contro la progettata legislazione laicista che avrebbe portato a una soppressione dei sussidi statali per la Chiesa e minacciava l’uso religioso delle cattedrali francesi.

Proust sostiene che l’impressione estetica di questi grandi monumenti sia inseparabile dai sacri riti per i quali sono state costruite. Se la liturgia non viene più celebrata in esse, saranno trasformate in freddi musei e diventeranno proprio morte.

Una simile osservazione si trova negli scritti di Joseph Ratzinger, cioè che “la grande tradizione culturale della fede possiede una forza straordinaria che vale proprio per il presente: ciò che nei musei può essere solo testimonianza del passato, ammirata con nostalgia, nella liturgia continua a diventare presente vivo” (Introduzione allo Spirito della Liturgia, p. 152).

Durante il suo recente viaggio in Francia, il Papa si è riferito a questa idea nella sua omelia per i vespri celebrati il 12 settembre 2008, nella splendida cattedrale Notre-Dame di Parigi, elogiandola come “un inno vivente di pietra e di luce” a lode del mistero dell’Incarnazione del Figlio di Dio nella beata Vergine Maria. Era proprio lì, dove il poeta Paul Claudel (1868-1955) aveva avuto una singolare esperienza della bellezza di Dio, durante il canto del Magnificat ai vespri di Natale 1886, la quale lo condusse alla conversione. È questa via pulchritudinis che può diventare strada dell’annuncio di Dio anche all’uomo di oggi.

Uwe Michael Lang (©L’Osservatore Romano – 8-9 giugno 2009)

L’altare e l’orientamento della preghiera nella liturgia

La preghiera rivolta a oriente è una tradizione che risale alle origini ed è espressione fondamentale della sintesi cristiana di cosmo e storia, di attaccamento alla unicità della storia della salvezza e di cammino verso il Signore che viene.

Da: J. RATZINGER (BENEDETTO XVI), Introduzione allo Spirito della Liturgia, Ed. San Paolo, 2001, parte II, cap. III, “L’altare e l’orientamento della preghiera nella liturgia”.

Per una retta liturgia

Chi difende la riforma voluta dal Concilio accusa facilmente di «tradizionalismo» tutti coloro che si pongono il problema della posizione assunta dal sacerdote durante la Messa. Ma non si tratta di nostalgia e non è una fissazione. Si tratta invece di entrare nel significato profondo dell’azione liturgica. E, se si fa questo passo, la questione del conversi ad Dominum non può non apparire come decisiva. Come scrive bene don Finotti, «si deve riconoscere che celebrare la parte sacrificale della Messa (dall’offertorio alla comunione) rivolti nel medesimo senso verso il quale guarda l’intera assemblea, secondo la tradizione costante della Chiesa, suscita in modo immediato ed efficace quel comune (sacerdote e popolo) guardare ad Deum che è costitutivo della liturgia».

Articolo completo:

http://www.aldomariavalli.it/2018/04/26/per-una-retta-liturgia/

La celebración ad orientem

El rito romano actual contempla la posibilidad de celebrar viendo hacia el pueblo (versus populum) o, mirando hacia Dios (versum Deum), a lo que también se le conoce como celebrar al oriente (ad orientem). Es frecuente que se diga que se celebra “de espaldas al pueblo”, pero esta expresión solo significa la posición del celebrante respecto al pueblo, y no frente a Dios. Por eso, es mejor decirle “hacia Dios” o al oriente.

Celebrar sin ver al pueblo no es algo exclusivo de la forma extraordinaria. También en la ordinaria es permitido. Esto es una cosa común en muchos lugares. Todos los papas han celebrado así. En la Instrucción General del Misal Romano (IGMR) se contempla que los altares no deben de colocarse pegados a la pared, para dar la oportunidad de celebrar de cualquier lado de éste.

Cada una de estas dos posibilidades tiene su simbolismo. Ver hacia el pueblo da la sensación de que se comparte la mesa. Ver hacia el oriente litúrgico, en cambio, simboliza que todo el pueblo, con el sacerdote que es Cristo, miran hacia el Padre y se dirigen juntos a él.

Como es menos común que se celebre “versus Deum”, explicaremos el modo en que tiene que hacerse en la forma ordinaria del rito romano.

1.- El misal siempre se coloca a la izquierda del celebrante, y el acólito le ayuda por la derecha. Por ello, antes de la misa debe de colocarse la credencia del lado derecho del altar. De igual forma, las velas y la cruz, en caso de que se coloquen sobre el altar, deben de cambiarse de lado.

2.- El sacerdote se dirige al altar al inicio de la Misa. Al llegar, lo venera con un beso por el lado que ha de celebrar.

3.- Si se emplea incienso y el altar está pegado a la pared, lo inciensa iniciando por el lado derecho, volviendo al centro, después incensando el lado izquierdo y, finalmente, volviendo al centro. Si asiste un diácono, no lo acompaña al incensar. En caso de que el altar esté despegado de la pared, inciensa rodeándolo, como de costumbre, y acompañado del diácono.  (IGMR n. 277)

4.- El celebrante preside los Ritos Iniciales desde sede, viendo al pueblo. La Liturgia de la Palabra es en el ambón, viendo al pueblo. Igualmente, el celebrante hace la homilía viendo al pueblo.

5.- Al inicio de la liturgia eucarística el celebrante se dirige al altar. Presenta los dones versus Deum.

6.- Si se emplea incienso, el celebrante inciensa los dones y la cruz (si está al centro del altar). Después, si el altar está pegado a la pared, como al inicio inciensa el lado derecho; vuelve al centro; después inciensa el lado izquierdo y vuelve al centro, en donde es incensado. En caso de que el altar no esté pegado a la pared, lo inciensa rodeándolo, como de costumbre. (IGMR n. 277)

7.- Para decir “Oren hermanos…” se voltea hacia el pueblo, y acabado la respuesta, vuelve a la posición ad orientem, en donde sigue la Misa, sin voltearse para decir “el Señor esté con ustedes” al inicio del prefacio. (IGMR n. 147)

8.- En la Consagración el celebrante no se voltea. Pero debe elevar el Cuerpo de Cristo y el cáliz con la y la Sangre de Cristo por encima de su cabeza, para que lo pueda ver el pueblo.

9.- Continúa celebrando versus Deum hasta el rito de la paz, en donde se vuelve para decir “La paz del Señor esté con ustedes”. (IGMR n. 154)

10.- Tras ello, vuelve a la posición versus Deum y, después del Cordero de Dios, se vuelve al pueblo para mostrar el Cuerpo de Cristo partido mientras dice “Este es el Cordero de Dios…” (IGMR n. 157)

11.- El celebrante comulga sobre el altar, y después da la comunión como de costumbre.

12.- La oración después de la comunión y los ritos conclusivos los hace en la sede, viendo hacia el pueblo.

En el siguiente video se explica todo esto:

Fuente.

Card. Sarah to Sacra Liturgia UK 2016

It is very important that we return as soon as possible to a common orientation, of priests and the faithful turned together in the same direction—Eastwards or at least towards the apse—to the Lord who comes, in those parts of the liturgical rites when we are addressing God. This practice is permitted by current liturgical legislation. It is perfectly legitimate in the modern rite. Indeed, I think it is a very important step in ensuring that in our celebrations the Lord is truly at the centre.

Read the whole address in English here (in French here).