Don Enrico Zoffoli sulla Comunione sulla mano

Basta con la comunione sulla mano dei fedeli!

Della nuova prassi liturgica ho trattato diffusamente e ripetutamente, e alle mie pubblicazioni rimando per la documentazione relativa a tutti gli aspetti del problema e da me resa nota per la prima volta ai fedeli che, avendola ignorata, sono rimasti preda della mania innovatrice e dissennata «di un piccolo numero di sacerdoti e laici», che hanno cercato «di imporre il loro punto di vista agli altri e di forzare la mano all’autorità…». Cosi lo stesso Paolo Vl, sollevando gravi dubbi sulla legittimità della riforma al riguardo (cf. A. Bugnini, La riforma liturgica 1948‒1975, Ed. Liturg., Roma, 1983, p. 627s).

Ciò premesso, riassumo la triste vicenda:

‒ Fin dal 1965, Germania, Olanda, Belgio, Francia premono insistentemente presso la S. Sede per ottenere la nuova prassi; e purtroppo, nel ’68, Roma comincia a cedere, sia pure a malincuore, riconoscendo che si tratta «di un cambiamento importante di disciplina» (iv.). «La cosa ‒ si nota ‒ tocca il cuore della liturgia…» (iv., p. 624).

‒ La concessione generale risale al 29.5.1969 in base all’istruzione Memoriale Domini, documento che riassume tutte le ragioni del personale e ripetuto rifiuto del Papa:

1° la precedente prassi (di ricevere l’Ostia sulla lingua) «poggia su una tradizione plurisecolare» (Rito della Comunione fuori della Messa, 1979, n. 21). Certamente risale a più di mille anni: «… in tradito plurium saeculorum more innititur…» (iv.). E abbiamo ottime ragioni per supporre che almeno la Chiesa romana l’abbia adottata verso il II secolo…

2° Una riforma al riguardo così sollecita dimostra ‒ secondo l’autorevole documento citato ‒ un progresso della devozione eucaristica dei fedeli (cf. AAS 61, 1969, pp. 541‒5). Dunque, la nuova prassi indica piuttosto un regresso, un’involuzione…

3° L’episcopato mondiale non era affatto favorevole: «… C’è una larga maggioranza assoluta contraria alla nuova prassi» (Cf. A. Bugnini, op. cit., p. 637). «Episcopos longe plurimos censere hodiernam disciplinam haudquaquam esse immutandam…» (Mem. Dom.).

4° È falso che ricevere l’Ostia sulla lingua offende la dignità della persona umana, trattata come si suol fare coi bambini, che sono imboccati. Davanti a Dio, che, oltre a farsi bambino nel Cristo, si degna di farsi pane, nessuno può presumere di essere adulto. «Huiusmodi autem usus nihil de dignitate personae detrahit…» (Mem. Dom.).

5° La nuova prassi favorisce il diffondersi dell’eresia protestante, che nega la reale presenza di Cristo sotto le specie sacramentali. Fin dal ’68 si temeva che essa avrebbe recato «danno irreparabile alla fede e al culto dell’Eucaristia» (A. Bugnini, op. cit., p. 628). La S. Sede non intendeva cedere, «ne (…) perveniatur (…) ad rectae doctrinae adulterationem» (Mem. Dom.).

6° La medesima avrebbe facilitato la caduta e la dispersione dei frammenti, e soprattutto esposto il Santissimo a furti e sacrilegi innominabili: «ne scilicet perveniatur sive ad minorem erga Augustum altaris Sacramentum reverentiam, sive ad eiusdem Sacramenti profanationem…» (iv.).

7° Se all’inizio ‒ o poco dopo ‒ la prassi della Comunione si riformò in seguito ad una più acuta consapevolezza del Mistero, oggi il ritorno a quella originaria espone i fedeli ad un graduale affievolimento del fervore eucaristico, quando non procura la perdita della fede, come si va verificando: «…ne scilicet perveniatur (…) ad minorem erga Augustum altaris Sacramentum reverentiam…» (iv.).

8° L’antica prassi soddisfaceva le esigenze d’indole igienica assai meglio della nuova, perché il celebrante, alla presenza di tutti, si lavava le mani prima di toccare il Santissimo e distribuire la Comunione; mentre oggi i fedeli, prima di ricevere questa sulle mani, hanno toccato tutto (sostegni, borsa, denaro, libri, mani dei vicini, ecc.).

* * *

Oggi, dopo venticinque anni di esperienze, ciascuna di queste ragioni è risultata fondata; ciò spiega come il Papa, personalmente, si rifiutò di approvare la proposta della nuova prassi: «Summo Pontifici non est visum modum iamdiu receptum sacrae Communionis fidelibus ministrandae immutare». (iv.), Atteggiamento, questo, che spiega pure perché la medesima non sia stata mai obbligatoria per nessuno, ma facoltativa per tutti. Essa non genera alcun dovere né di dare la Comunione, per il sacerdote né di riceverla, per i fedeli.

Dati i precedenti storici della riforma e le ragioni addotte da Paolo VI, il sacerdote ha l’unico dovere di dissuadere tutti dal ricevere l’Ostia sulle mani, educando la sensibilità dei fedeli, tenuti a tendere alla santità mediante l’esercizio di quell’amore di Dio che stimola a scegliere l’ottimo di tutti i modi possibili di partecipare al Sacrificio eucaristico: il più devoto, rispettoso, degno della sua Maestà infinita, secondo l’esempio di migliaia di santi.

Un Papa, che domani decidesse di abolire la discutibilissima riforma, meriterebbe le benedizioni del mondo cattolico.

Giovanni Paolo II, dal canto suo, nelle Messe solenni celebrate in Piazza S. Pietro, preferisce dar la Comunione sulla lingua dei fedeli e persino del Clero, confermando la fondatezza delle ragioni per le quali Paolo VI, personalmente, si era rifiutato di approvare la nuova prassi liturgica. L’esempio del Papa, del resto, dimostra quanto siano state bugiarde le voci diffuse da certi presunti liturgisti, secondo i quali la prassi suddetta partiva da un’iniziativa della Chiesa, ne esprimeva Io spirito, la volontà, sì da realizzare un sogno dei credenti più maturi (?)… Tutto falso.

 I fedeli non sentivano affatto la necessità di modificare la prassi precedente, non si erano mai posto il problema, come denuncia Paolo VI secondo il quale ‒ non temo di ripeterlo ‒ la «nuova pratica» era «opera di un piccolo numero di sacerdoti e laici, che ‒ sottolinea il Pontefice ‒ cercano di imporre il loro punto di vista agli altri e di forzare la mano all’autorità. Approvarlo sarebbe incoraggiare queste persone non mai soddisfatte delle leggi della Chiesa…» (cf. A. Bugnini, La riforma liturgica…, ed. cit., p. 627s). Soltanto la malafede ha fatto attribuire alla Chiesa l’iniziativa della prassi in parola, caldeggiata ed anzi spesso slealmente imposta a fedeli ignari, a suore piissime quanto disinformate, a bambini innocenti, incapaci di una scelta, ossia di valersi di una prassi «facoltativa».

(Enrico Zoffoli – Questa è la Messa. Non altro! – Edizioni Segno 1994 – pp. 99-102)

Testo in PDF qui.

Celebrating the Novus Ordo as It Ought to Be

Many of those, especially young adults, who frequent the extraordinary form of the Roman Rite, celebrated according to the 1962 ritual that stretches back to the Council of Trent, do so, in my opinion, not because they have major issues with the Novus Ordo per se — but because they prefer the general liturgical fidelity and reverence of priests who celebrate the extraordinary form, the conspicuous focus on God, the sacred music, the way Holy Communion is received, the promotion of priestly vocations through the training of altar boys, and several other things still possible, but far less common, in the celebration of the Novus Ordo.

To celebrate the Novus Ordo “as it ought to be” means ensuring always and everywhere that the liturgy conveys a profound sense that one is in God’s presence, facilitates loving God with all our heart, mind, soul and strength, and opens us up so that God can transform us by this encounter to love our neighbor as he loves us.

This not only can happen, but does, when the celebration of the Novus Ordo takes place with proper preparation, beauty and reverence.

That’s what every Catholic has a right to. That’s what St. Paul VI intended. That’s what the Church and the world need.

Fr. Roger Landry, Diocese of Fall River, Massachusetts, on National Catholic Register.

Nuovo canale YouTube per imparare il Gregoriano

Dal blog di Sandro Magister:

Il Maestro Fulvio Rampi ha inaugurato un nuovo canale YouTube, totalmente gratuito, che offre un intero ciclo di sue lezioni introduttive al canto gregoriano, scandito sui tempi dell’anno liturgico.
Il primo blocco di dieci lezioni, dedicate all’Avvento e al Natale, è già in rete. Ogni lezione dura circa 20 minuti. Seguiranno nei prossimi mesi altri due blocchi, di nove lezioni ciascuno, dedicati alla Quaresima, alla Pasqua, alla Pentecoste e alle altre solennità del Signore.
Ogni lezione ha al centro i canti gregoriani più significativi di ogni domenica o solennità, con un’analisi – seguita dall’ascolto – che parte dal testo e si sviluppa attraverso stili, forme ed estetica della composizione.

IN CONCEPTIONE IMMACULATA BEATÆ MARIÆ VIRGINIS – 8 Dec 2019

Sollemnitas
Ant. ad introitum Is 61, 10
Gaudens gaudébo in Dómino,
et exsultábit ánima mea in Deo meo;
quia índuit me vestiméntis salútis,
et induménto iustítiæ circúmdedit me,
quasi sponsam ornátam monílibus suis.

Dicitur Glória in excélsis.

Collecta
Deus, qui per immaculátam Vírginis Conceptiónem
dignum Fílio tuo habitáculum præparásti,
quǽsumus, ut, qui ex morte eiúsdem Fílii tui prævísa,
eam ab omni labe præservásti,
nos quoque mundos, eius intercessióne,
ad te perveníre concédas.
Per Dóminum.

Dicitur Credo.

Super oblata
Salutárem hóstiam,
quam in sollemnitáte immaculátæ Conceptiónis
beátæ Vírginis Maríæ tibi, Dómine, offérimus,
súscipe dignánter, et præsta,
ut, sicut illam tua grátia præveniénte
ab omni labe profitémur immúnem,
ita, eius intercessióne, a culpis ómnibus liberémur.
Per Christum.

Præfatio: De mysterio Mariæ et Ecclesiæ.

Ant. ad communionem
Gloriósa dicta sunt de te, María,
quia ex te ortus est sol iustítiæ,
Christus Deus noster.

Post communionem
Sacraménta quæ súmpsimus,
Dómine Deus noster,
illíus in nobis culpæ vúlnera réparent,
a qua immaculátam beátæ Maríæ Conceptiónem
singuláriter præservásti.
Per Christum.

Adhiberi potest formula benedictionis sollemnis.

© Copyright – Libreria Editrice Vaticana

Messalino in PDF con letture in lingua italiana (da stampare su fogli A3 fronte/retro)

Missalette in PDF with readings in English (to be printed on A3 sheets, front/back)

Johannes XXIII und die lateinische Sprache

Nicht ohne den göttlichen Ratschluss traf es sich, dass die lateinische Sprache, die sehr umfangreiche Völkergemeinschaft unter der Herrschaft des Römischen Imperiums über sehr viele Jahrhunderte vereint hatte, auch die eigene Sprache des Apostolischen Stuhles wurde.

(Johannes XXIII, Apostolische Konstitution Veterum sapientia – 1962)