Ma i preti devono conoscere ancora il latino?

[Il motivo fondamentale dell’ignoranza attuale del latino è che] il latino sembra essere diventato del tutto inutile. Riflettendoci, questa causa appare impietosamente incontrovertibile. Fino a cinquant’anni fa, ossia fino all’introduzione della riforma liturgica seguita al Concilio Vaticano II, la liturgia era celebrata in lingua latina. Era impossibile che un prete non avesse dimestichezza con la lingua in cui recitava, almeno per un’ora e mezza, le varie parti del “Breviario”, in cui celebrava quotidianamente la Messa ed amministrava i sacramenti. L’introduzione delle lingue vernacolari nella liturgia ha eliminato dunque la prima motivazione per cui bisognava sapere il latino.
Una seconda motivazione è costituita dalla progressiva sostituzione del latino con altri idiomi nella produzione dei documenti delle cancellerie ecclesiastiche. Decreti, bolle, indulti, ammonizioni delle curie episcopali erano redatti in latino, oggi non più. Anche nei vari dicasteri della Curia Romana, che nei secoli aveva sviluppato uno stile peculiare e decisamente elegante nella sua precisione e che fino al Pontificato di Paolo VI aveva raggiunto livelli di gradevole raffinatezza, si scrive e si parla in italiano o in inglese e sempre più raramente i documenti più importanti sono tradotti nella lingua “ufficiale” della Chiesa. Ed anche di questi documenti, come Encicliche o Esortazioni Apostoliche, circolano versioni nelle principali lingue europee che rendono del tutto inutile la conoscenza del latino da parte del prete che, collegandosi comodamente online al sito ufficiale del Vaticano, può leggere e studiare, compulsando le fonti del Magistero in una lingua nazionale a sé familiare.

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