Come per la Comunione in piedi, ricevendola in mano o, compiendo un abuso, prendendola da sé, si vorrebbe dimostrare che noi siamo adulti davanti a Dio e non neonati bisognosi del latte spirituale, come scrive Pietro, che è massimamente il Sacramento eucaristico.
Oggi questo sacramento è stato banalizzato?
Banalizzare, in italiano, vuol dire privare di importanza qualcosa che è originale. Il Sacramento dell’Eucaristia – che è definito Santissimo – è ritenuto dalla Chiesa, ‘farmaco di immortalità’. Non è un cibo qualsiasi, ma un alimento, anzi un farmaco speciale, che come tale, va assunto con attenzione affinché non si trasformi in veleno. Per questo, Gesù chiede di avere l’abito di grazia per avvicinarsi. E così Paolo ha dato le controindicazioni. E la Chiesa ha posto condizioni interne ed esterne: sapere e pensare Chi si va a ricevere, essere in grazia di Dio e osservare il digiuno prescritto. Oggi il sacramento, più che banalizzato, è profanato dall’assenza di fede nella Presenza reale e dall’eliminazione dei gesti di riverenza e di onore che la Liturgia gli attribuisce, in primis l’adorazione in ginocchio.
Il mettermi in ginocchio diventa l’espressione più eloquente della creatura dinanzi al mistero presente. Il culto ha questo centro: accorgermi che Tu sei qui e ti do importanza.
Tutti dobbiamo metterci in ginocchio davanti a Gesù – specialmente nel Sacramento – davanti a Colui che si è abbassato, e proprio così ci pieghiamo davanti all’unico vero Dio che è al di sopra di tutti gli dèi.
Gli inginocchiatoi nella chiesa sono il segno che ricorda questa verità. L’occhio vuole la sua parte. Non vedendoli più in chiesa, non si pensa alla Sua Presenza da adorare.
(dall’intervento di mons. Nicola Bux al convegno del 5 ottobre 2019 in Santo Spirito in Sassia. Trascrizione integrale qui.)