Sull’orientamento dell’altare e del celebrante nella celebrazione della Santa Messa

I protagonisti del dibattito sull’orientamento dell’altare e del celebrante evidenziano come la figura del presbitero che all’altare volge le spalle all’assemblea, sia espressione del carattere sacrificale della Messa, mentre, al contrario, la scelta della celebrazione versus populum risponda meglio alla natura conviviale dell’Eucaristia. Seguendo questa spiegazione, si potrebbe dire che “l’ideale” sarebbe che il celebrante celebri rivolto al popolo quei riti che manifestano più immediatamente il carattere conviviale – liturgia della Parola, ecc. –, e volga le spalle ai fedeli durante la preghiera eucaristica.

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Offering the Novus Ordo Ad Orientem

The rubrics presume that the Mass will be offered ad orientem. Absolutely nothing in the law prevents this. So what is the problem?

I really do not think the faithful are a hurdle. If they trust their priests, if their priests love them, and they know it, they will listen. Sure, some, the more ideologically hidebound, will protest. But, as they say, one cannot please everyone.

The real hurdle lies with my brother priests.

Of course each presbyterate is different, and the Church in the US, in general, has tacked much more towards tradition and orthodoxy in recent years, than many other parts of the world. Yet, the idea that one should be offering Mass ad orientem is still considered taboo.

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7 Ideen für eine würdige heilige Messe / 7 idee per una santa Messa degna

Priester und Gläubige sind (liturgisch) nach Osten ausgerichtet. Die Liturgiereform nach dem Zweiten Vatikanischen Konzil schreibt nicht vor, dass der Priester der Gemeinde gegenüber stehen muss. Dieser Schritt würde mehr als alle anderen dazu beitragen, die Gläubigen und die Priester die richtige innere Haltung einnehmen zu lassen.

The mass being said ad orientem means that the priest and the faithful face the same direction, (liturgical) east. Many people think that Vatican II or the Novus Ordo requires the priest to face the people. This is simply not true. In fact, the rubrics of the new mass anticipates that the mass be said ad orientem and instructs the priest when he should face the people.

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Bedeutung des Latein für die Kirche / Significato del latino per la Chiesa

Eines ist unbestreitbar: Die Väter des Zweiten Vatikanischen Konzils haben an der lateinischen Sakralsprache festgehalten: „Der Gebrauch der lateinischen Sprache“, so liest man in der Liturgiekonstitution Sacrosanctum Concilium unzweideutig, „soll in den katholischen Riten erhalten bleiben …“ (Nr. 36 § 1).

Dabei wurde aus pastoralen Nützlichkeitserwägungen dem Gebrauch der Muttersprache ein weiterer Raum als bisher zugebilligt, vor allem in den Lesungen und in einigen Orationen und Gesängen (Nr. 36 § 2). Abgeschafft hat das Konzil das Latein also nicht. Wer die Messe darum auf Latein feiert, braucht sich nicht zu rechtfertigen.

Er tut nichts anders, als was das Konzil gefordert hat. Der Wortlaut des Konzilstextes spricht sogar deutlich für eine Bevorzugung der lateinischen Sprache als Kultsprache gegenüber der Volkssprache. Zu sehr waren die Väter des Konzils von der Bedeutung des Lateins für die Kirche und ihren Kult überzeugt, als dass sie sie, die zudem unsere abendländische Kultur mitgeprägt hat und ohne die Europa undenkbar ist, aufgeben wollten.

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Dokumente zur Zelebration zum Herrn hin

Zu den auffälligsten Neuerungen in der römisch-katholischen Liturgie seit über vierzig Jahren gehört, daß der Priester die hl. Messe zumeist an einem freistehenden Altar im Gegenüber zu den Gläubigen feiert. Nach dem Zweiten Vatikanischen Konzil ist diese Praxis binnen kurzer Zeit sehr gebräuchlich geworden und führt bis heute zu ebenso einschneidenden wie kontroversiellen Umbauarbeiten in alten Kirchen. Das ist umso erstaunlicher, als in der Konstitution über die hl. Liturgie des Konzils Sacrosanctum Concilium genaugenommen mit keinem Wort davon die Rede ist. Weder wird eine Zelebration „zum Volk hin gewandt“ erwähnt, noch ist von der Errichtung neuer Altäre die Rede.
Was sagen aber die nachkonziliaren liturgischen Dokumente über die Stellung des Liturgen am Altar „versus orientem“ (=nach Osten gewendet) bzw. „versus absidem“ (=zur Apsis, zum Hochaltar gewendet)? Im folgenden soll dieser Frage nachgegangen werden. Dabei hat es sich als nützlich erwiesen, die diesbezüglichen nachkonziliaren Dokumente chronologisch geordnet und im Wortlaut – wenn auch in Auszügen – zusammenzustellen.

P. Paul Wodrazka, Pfarre St. Rochus, Wien.

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Præfatio I de Ascensione Domini

De mysterio Ascensionis
Sequens præfatio dicitur in die Ascensionis Domini; dici potest diebus post Ascensionem usque ad sabbatum ante Pentecosten, in Missis quæ præfatione propria carent.

V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.
V. Sursum corda.
R. Habémus ad Dóminum.
V. Grátias agámus Dómino Deo nostro.
R. Dignum et iustum est.
Vere dignum et iustum est, æquum et salutáre,
nos tibi semper et ubíque grátias ágere:
Dómine, sancte Pater, omnípotens ætérne Deus:
Quia Dóminus Iesus, Rex glóriæ,
peccáti triumphátor et mortis,
mirántibus Angelis, ascéndit (hódie) summa cælórum,
Mediátor Dei et hóminum,
Iudex mundi Dominúsque virtútum;
non ut a nostra humilitáte discéderet,
sed ut illuc confiderémus, sua membra, nos súbsequi
quo ipse, caput nostrum principiúmque, præcéssit.
Quaprópter, profúsis paschálibus gáudiis,
totus in orbe terrárum mundus exsúltat.
Sed et supérnæ virtútes atque angélicæ potestátes
hymnum glóriæ tuæ cóncinunt, sine fine dicéntes:
Sanctus, Sanctus, Sanctus Dóminus Deus Sábaoth.
Pleni sunt cæli et terra glória tua.
Hosánna in excélsis.
Benedíctus qui venit in nómine Dómini.
Hosánna in excélsis.

In die Ascensionis, quando adhibetur Canon romanus, dicitur Communicántes proprium.

© Copyright – Libreria Editrice Vaticana

La musica sacra e il canto liturgico nel Vaticano II

Il silenzio sul gregoriano e la polifonia classica ha privato i riti di un patrimonio liturgico, artistico e spirituale grandioso, ha ristretto negli effimeri confini del presente e ha tagliato le radici con la tradizione dei secoli. Le nuove generazioni si sono così trovate a realizzare il prodotto recente delle ultime ‘trovate’ e il loro orizzonte è costretto all’asfissia dell’istante momentaneo e del locale. La loro stessa creatività, priva dell’ossigeno della Tradizione secolare e universale della Chiesa, ne è rattrappita e si chiude davanti a loro la possibilità di un esercizio musicale a servizio della liturgia di alto profilo artistico e di profonda spiritualità. Non può essere normale, né onorevole per la Chiesa che i giovani scoprano il gregoriano e la grande musica polifonica in ambienti profani, come in scuole e concerti, mentre il grembo originale che ha generato tale esperienza offre un livello ormai basso e sterile. La Chiesa Madre e Maestra avrebbe così perduto la sua capacita di educatrice e di guida verso le alte vette dello spirito?

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Il latino nella liturgia

Chi legge con attenzione e competenza i testi conciliari a riguardo del latino e del canto gregoriano noterà forse con sorpresa che si tratta di affermazioni precise e sicure quali attestazioni di un comune sentire nella Chiesa. L’uso della lingua latina costituisce la norma nella liturgia (SC 36) e con altrettanta determinazione si aprono prospettive più larghe nell’uso delle lingue volgari (SC 54). Anche il primato del canto gregoriano è proclamato con decisione, pur ammettendo, alle condizioni stabilite, il canto popolare religioso (SC 116). Il linguaggio impiegato dai Padri e la fermezza degli asserti non rivelano il disagio e la fatica proprie di altre espressioni, frutto di dibattito e quindi con formulazioni di compromesso.

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Riorientare la Messa

Padre Lang spiega come si deve essere “rivolti al Signore”.

L’obiezione che solitamente viene sollevata rispetto alla forma antica di celebrare la Messa è che il sacerdote dà le spalle alla comunità, ma questo è un falso problema, secondo padre Uwe Michael Lang.
La postura “ad orientem” – verso oriente – riguarda piuttosto la volontà di assumere una direzione comune (tra comunità e sacerdote) nella preghiera liturgica, aggiunge.
Padre Lang del London Oratory, recentemente nominato alla Pontificia Commissione per i beni culturali della Chiesa, è autore del libro “Rivolti al Signore. L’orientamento nella preghiera liturgica”. Il libro è stato pubblicato inizialmente in Germania da Johannes Verlag e poi in inglese da Ignatius Press. Successivamente è apparso anche in italiano (ed. Cantagalli), francese, ungherese e spagnolo.
In questa intervista rilasciata a ZENIT, padre Lang parla della postura “ad orientem” e della possibilità di riscoprire questa antica pratica liturgica.

Come si è sviluppata, nella Chiesa dei primi secoli, la pratica di celebrare la liturgia “ad orientem”, rivolti verso oriente? Qual è il suo significato teologico?

Padre Lang: Nella maggior parte delle religioni, la posizione che si assume nella preghiera e nell’orientamento dei luoghi sacri è determinata da una “direzione sacra”. La direzione sacra dell’ebraismo è verso Gerusalemme o più precisamente verso la presenza del Dio trascendente “shekinah” nel Sancta Sanctorum del Tempio, come si legge in Daniele 6,11.
Anche dopo la distruzione del Tempio, l’uso di rivolgersi verso Gerusalemme è rimasto nella liturgia della sinagoga. È così che gli ebrei hanno espresso la loro speranza escatologica per l’arrivo del Messia, per la ricostruzione del Tempio e per il rientro del popolo di Dio dalla diaspora.
I primi cristiani non si volgevano più verso la Gerusalemme terrena, ma verso la nuova Gerusalemme celeste. La loro ferma convinzione era che con la seconda venuta, nella gloria, il Cristo risorto avrebbe radunato il suo popolo per costituire questa città celeste.
Essi vedevano nel sorgere del sole un simbolo della Risurrezione e della seconda venuta. E questo simbolo è stato quindi trasposto anche nella preghiera. Vi sono elementi che ampiamente dimostrano che dal secondo secolo in poi, in gran parte del mondo cristiano, la preghiera era rivolta verso oriente.
Nel Nuovo Testamento, il significato della preghiera orientata (rivolta verso oriente) non è esplicito.
Ciò nonostante la Tradizione ha individuato molti riferimenti testuali a questo simbolismo, come ad esempio: il “sole di giustizia” in Malachia 3, 30; “verrà a visitarci dall’alto un sole che sorge” in Luca 1, 78; l’angelo che sale dall’oriente con il sigillo del Dio vivente in Apocalisse 7, 2; e le immagini di luce nel Vangelo di san Giovanni.
In Matteo 24, 27-30 il segno della venuta del Figlio dell’Uomo con grande potenza e gloria, come la folgore che viene da oriente e brilla fino a occidente, è la croce.
Esiste una stretta relazione tra la preghiera orientata e la croce; questo risulta evidente sin dal quarto secolo, se non prima. Nelle sinagoghe di quel periodo, il punto in cui erano collocati i rotoli della Torah indicava la direzione della preghiera “qibla” verso Gerusalemme.
Tra i cristiani divenne uso comune segnare la direzione della preghiera con una croce sul muro orientale nelle absidi delle basiliche e nei luoghi privati, per esempio, dei monaci e degli eremiti.
Verso la fine del primo millennio vi sono teologi di diverse tradizioni che osservano come la preghiera orientata sia una delle pratiche che distinguono il Cristianesimo dalle altre religioni del Vicino Oriente: gli ebrei pregano verso Gerusalemme, i musulmani verso la Mecca, mentre i Cristiani verso oriente.

Anche gli altri riti della Chiesa cattolica adottano l’orientamento liturgico?

Padre Lang: La preghiera liturgica orientata (rivolta verso oriente) fa parte anche delle tradizioni bizantina, siriaca, armena, copta ed etiope. Ancora oggi essa è in uso nella maggior parte dei riti orientali, almeno per quanto riguarda la preghiera eucaristica.
Alcune Chiese cattoliche orientali, come ad esempio quella maronita e quella siro-malabarese, hanno adottato in tempi recenti la Messa rivolta “versus populum”, ma questo è dovuto all’influenza moderna occidentale e non deriva dalle proprie tradizioni.
Per questo motivo la Congregazione vaticana per le Chiese orientali ha dichiarato nel 1996 che l’antica tradizione di pregare rivolti verso oriente ha un profondo valore liturgico e spirituale e deve essere preservata nei riti orientali.

Spesso sentiamo dire che “ad orientem” significa che il sacerdote sta celebrando con le spalle rivolte alla comunità. Ma qual è il significato vero di questo orientamento?

Padre Lang: Il luogo comune secondo cui il prete dà le spalle alla gente è un falso problema in quanto il punto essenziale è che la Messa è un atto di culto comune, in cui il sacerdote insieme alla comunità – che rappresentano la Chiesa pellegrina – protendono verso il Dio trascendente.
La questione non è se la celebrazione è rivolta “verso” o “contro” la comunità, ma è la comune direzione della preghiera liturgica che conta. E ciò si può avere a prescindere dall’orientamento dell’altare. In Occidente molte chiese costruite dopo il XVI secolo non sono più orientate.
Il sacerdote all’altare, rivolto nella stessa direzione dei fedeli, guida il popolo di Dio nel cammino della fede. Questo movimento verso il Signore trova la sua massima espressione nei santuari di molte chiese del primo millennio, in cui la rappresentazione della croce o del Cristo glorificato indica la meta del pellegrinaggio terreno dell’assemblea.
Essere rivolti verso il Signore significa mantenere vivo il senso escatologico dell’Eucaristia e ci ricorda che la celebrazione del Sacramento è una partecipazione alla liturgia celeste e la promessa della futura gloria nella presenza del Dio vivente.
Questo dà all’Eucaristia la sua grandezza, evitando che la singola comunità si chiuda in se stessa, aprendola verso l’assemblea degli angeli e dei santi nella città celeste.

In che modo può una liturgia orientata promuovere il dialogo con il Signore nella preghiera?

Padre Lang: L’elemento principale del culto cristiano è il dialogo tra il popolo di Dio nel suo complesso, compreso il celebrante, e Dio verso il quale è rivolta la preghiera.
È per questo che il liturgista Marcel Metzger sostiene che la diatriba sul verso in cui è rivolto il celebrante rispetto alla comunità esclude del tutto colui verso il quale tutte le preghiere sono dirette, ovvero Dio stesso.
L’Eucaristia non è celebrata con il sacerdote rivolto verso i fedeli o dando loro le spalle. Piuttosto è l’intera assemblea che celebra rivolta verso Dio, attraverso Gesù Cristo, nello Spirito Santo.

Nella premessa al suo libro, l’allora cardinale Ratzinger osserva che nessuno dei documenti del Concilio Vaticano II indica di dover rivolgere l’altare verso i fedeli. Come si è verificato allora il cambiamento? Qual è la base per tale importante modifica della liturgia?

Padre Lang: Solitamente si citano due argomenti principali per sostenere la posizione del celebrante rivolto verso i fedeli.
Il primo è che tale pratica corrisponde a quella della Chiesa dei primi secoli e che pertanto deve essere adottata come la norma anche ai tempi nostri. Tuttavia, un’attenta analisi dei documenti non dà conferma a questa ipotesi.
Il secondo è che la “attiva partecipazione” dei fedeli, un principio introdotto da Papa Pio X e diventato centrale nella “Sacrosanctum Concilium”, impone che il celebrante sia rivolto verso la comunità.
Ma una riflessione critica sul concetto di “attiva partecipazione” ha di recente rivelato la necessità di una nuova valutazione teologica di questo importante principio.

Nel suo libro “Lo spirito della liturgia”, l’allora cardinale Ratzinger compie una utile distinzione tra la partecipazione alla liturgia della Parola, che comprende azioni esterne, e la partecipazione alla liturgia eucaristica, in cui le azioni esterne sono del tutto secondarie, poiché è la partecipazione interiore della preghiera che costituisce l’elemento centrale.
La recente esortazione apostolica post-sinodale del Santo Padre “Sacramentum Caritatis” contiene una importante trattazione di questo argomento al paragrafo 52.

Il nuovo ordinamento della Messa promulgato da Papa Paolo VI nel 1970 vieta al sacerdote di rivolgersi ad oriente? Esiste qualche ostacolo giuridico che vieta l’uso più ampio di questa antica pratica?

Padre Lang: Il Messale di Papa Paolo VI considera come un’opzione legittima quella di combinare la posizione del sacerdote rivolto verso i fedeli durante la liturgia della Parola e la posizione di entrambi rivolti verso l’altare durante la liturgia eucaristica e in particolare per il Canone.
La versione revisionata delle Istruzioni generali del Messale romano, che sono state pubblicate inizialmente per motivi accademici nel 2000, affronta la questione dell’altare al paragrafo 299, che sembra considerare la posizione del celebrante rivolto “ad orientem” come non opportuna o persino vietata.
Tuttavia, la Congregazione per il culto divino e i sacramenti ha rigettato questa interpretazione in risposta ad una domanda sottoposta dal cardinale Christoph Schönborn, Arcivescovo di Vienna. Ovviamente il paragrafo delle Istruzioni generali deve essere letto alla luce di questa riposta, datata 25 settembre 2000.

La recente lettera apostolica di Benedetto XVI “Summorum Pontificum”, che liberalizza l’uso del Messale di Giovanni XXIII, consentirà un più profondo apprezzamento della posizione “rivolti verso il Signore” durante la Messa?

Padre Lang: Io credo che molte riserve o persino timori sulla Messa “ad orientem” derivino da una scarsa familiarità con essa e che la diffusione dell’ “uso straordinario” del rito romano antico aiuterà molte persone a riscoprire e apprezzare questa forma di celebrazione.

Uwe Michael Lang (Zenit, giovedì, 25 ottobre 2007)